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12/10/2020
Le malattie e i disturbi della tiroide sono un fenomeno in continuo aumento tra la popolazione. Vediamo per quale motivo le patologie tiroidee sono in aumento e quali sono i principali fattori di rischio.
La tiroide è una piccola ghiandola endocrina posta alla base del collo, nella regione anteriore, a forma di farfalla.
La tiroide è molto piccola (normalmente in un adulto pesa circa 20 grammi) ma è importantissima: controlla numerose funzioni biologiche del nostro organismo come temperatura e peso corporeo, appetito ed umore, stanchezza, pigrizia e sonno, battito cardiaco, funzionamento intestinale e persino il metabolismo del calcio.
In Italia, 1 persona su 10 ha una patologia tiroidea: queste disfunzioni colpiscono soprattutto le donne (sono 10 volte più frequenti tra le pazienti femminili rispetto a quelli maschili).
I principali fattori di rischio per lo sviluppo di una patologia tiroidea sono:
La tiroide può manifestare differenti disturbi:
Altre malattie tiroidee o tiroiditi: autoimmuni, virali, batteriche.
Una delle ragioni della crescita continua di malattie tiroidee è sicuramente legata alle migliori possibilità diagnostiche attualmente disponibili rispetto a qualche decennio fa.
È da evidenziare però un ricorso indiscriminato all’ecografia tiroidea, utilizzata oggi come strumento di screening generale della popolazione.
Dal momento che i sintomi legati ad un malfunzionamento della tiroide non sono specifici (astenia o obesità, ad esempio possono avere molte concause), la diagnosi di malattie tiroidee deve necessariamente partire da un’accurata anamnesi familiare e patologica del paziente, condotta dal medico di medicina generale. Successivamente questi può richiedere la consulenza dello specialista endocrinologo, in modo da poter sottoporre il paziente a una razionale e commisurata procedura diagnostica (esami ematochimici, ormonali, strumentali, radiologici e medico-nuclearistici).
Solo in questo modo sarà possibile offrire al paziente un percorso di cura realmente “personalizzato” in base alle proprie caratteristiche cliniche: non più una terapia uguale per tutti, ma una terapia basata sul reale rischio individuale. Questo consente l’esecuzione di terapie meno invasive per i casi a prognosi buona, riservando le terapie più complete alle sole forme aggressive.